L’arte di fare impresa, tra passione, innovazione e visione internazionale. Intervista a Renzo Servadei

Dalla passione per i motori alla guida di un’eccellenza italiana

Dalla laurea in giurisprudenza alla guida della fiera più specializzata dell’aftermarket automobilistico, Renzo Servadei ci racconta il valore del Made in Italy, l’evoluzione dell’industria automotive e perché serve più spazio per il talento femminile anche in questo settore.

Intervista a cura di Luca Greco (SEO Copywriter di Synesthesia).

Renzo, dal mondo del diritto a quello dell’automotive. Com’è iniziato questo viaggio?

Mi sono laureato in giurisprudenza e, dopo aver sostenuto l’esame da procuratore, mi sono trovato davanti a un bivio: intraprendere la carriera di avvocato penalista oppure entrare in un’associazione di imprese, l’Associazione Piccole Imprese di Bologna. Ho scelto la seconda. Lì mi occupavo di trattative sindacali, affiancando le aziende, ma allo stesso tempo ricoprivo anche il ruolo di segretario del Gruppo Giovani Imprenditori, che organizzava iniziative interessanti, ma sempre con pochi iscritti.

Fu allora che mi venne un’idea che oggi può sembrare semplice, ma nel 1984 era una piccola rivoluzione. Decisi di presentare le nostre attività in modo completamente diverso: niente circolari noiose, niente incontri istituzionali. Scelsi un luogo iconico, la discoteca più grande di Bologna all’epoca, “La Capannina”. Insieme a tutto il gruppo, ci occupammo personalmente di invitare le aziende che conoscevamo. Alla fine, quella sera, ci ritrovammo in 700. giovani imprenditori, tutti insieme, a fare rete quando ancora i social network non esistevano. Ci scambiavamo gli auguri di compleanno per posta, organizzavamo eventi, creavamo connessioni vere. Il successo fu enorme.

Da lì cominciò tutto. Era naturale, per chi come me veniva da Serramazzoni, vicino a Maranello, coltivare un amore per i motori, un amore abbastanza grande da attirare l’attenzione di due persone nello specifico, una che curava le riviste dell’API ed una che faceva parte di quella realtà che poi sarebbe diventata Promotec. Da quella passione e da quello spirito di connessione ebbe origine il mio percorso: segretario di associazioni prima, Amministratore Delegato della Fiera poi. È così che ho capito una cosa importante: si possono fare cose serissime, anche divertendosi”.

Dal 2004 sei Amministratore Delegato della fiera Autopromotec, una realtà che oggi è diventata un punto di riferimento internazionale nel settore. Qual è il segreto di questa crescita costante?

Non vendiamo metri quadri. Costruiamo relazioni. La nostra missione va ben oltre l’organizzazione di fiere. Essendo una realtà promossa da AICA (Associazione Italiana Costruttori di Attrezzature) e AIRP (Associazione Italiana Ricostruttori Pneumatici), il nostro obiettivo è quello di supportare e valorizzare i settori che rappresentiamo. Lo facciamo con attività concrete, tramite la promozione normativa, il dialogo istituzionale, le attività di internazionalizzazione, la creazione di reti e lobbying. In pratica, ascoltiamo le aziende, raccogliamo le loro esigenze e lavoriamo per offrire risposte e soluzioni, soprattutto sul piano normativo. È un percorso che richiede tempo e visione.

Se questo lavoro a monte è fatto bene, allora il successo del momento fieristico diventa una naturale conseguenza. Ma non è il punto di partenza: è il risultato. Ci impegniamo per promuovere temi chiave come per esempio il riutilizzo e la tracciabilità del ricambio, dialogando con una rete di imprese e stakeholder per costruire un ecosistema che generi reale valore per le aziende.

Ecco perché non parliamo mai di metri quadri. Preferiamo parlare di crescita, relazioni, progetti condivisi. Quest’anno, con orgoglio, possiamo dire che torneremo ai numeri pre-Covid e, in alcuni casi, li supereremo. Ma il vero successo resta quello delle aziende che crescono con noi”.

In sessant’anni di storia, Autopromotec è passata dall’essere una fiera di settore a un hub globale dell’aftermarket automobilistico. C’è stato un momento di svolta decisivo in questo percorso?

Essere preparati, competenti e resilienti è fondamentale. Ma c’è un ingrediente che spesso viene sottovalutato, forse perché poco “glamour”: la fortuna. E in Italia, da questo punto di vista, siamo davvero privilegiati. Abbiamo la più alta concentrazione al mondo di costruttori di attrezzature, in particolare in Emilia-Romagna. Lo stesso vale per i componenti: durante il Covid, quando le fabbriche italiane si sono fermate, anche i colossi dell’auto in Germania hanno dovuto rallentare. Perché? Perché i componenti tecnologicamente più avanzati arrivano da qui, dal nostro Paese.

Questa forza produttiva fa della nostra Fiera uno dei due grandi poli di riferimento internazionale per il settore, insieme a Francoforte. Ci sono aziende italiane che esportano oltre l’80% della propria produzione e questo non solo rafforza la loro competitività, ma rende la nostra fiera un punto di attrazione per i buyer di tutto il mondo.

Nel rendere possibile tale affluenza è di estrema rilevanza il contributo di un nostro preziosissimo alleato, il MAECI – Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale che, operando tramite l’ICE –  l’Agenzia per la promozione all’estero che ci supporta attivamente con la sua rete internazionale”.

Made in Italy e innovazione: due pilastri forti. Quanto contano davvero nell’aftermarket di oggi e come si traducono, concretamente, nei padiglioni di Autopromotec?

Spesso non abbiamo piena consapevolezza della nostra forza, eppure, il nostro Paese è un concentrato di eccellenze, con aziende che brillano a livello internazionale e storie di successo che meritano di essere conosciute. In Italia c’è un mix unico: competenza tecnica, creatività e passione. Nonostante ciò, queste storie straordinarie spesso non fanno notizia. Ma sono reali. E, soprattutto, hanno un impatto concreto: generano occupazione, promuovono innovazione e collaborano per lo sviluppo della tecnologia.

Questa è una delle chiavi più autentiche della nostra resilienza industriale. In Autopromotec è possibile incontrare oltre 1.500 di queste realtà. Un’occasione unica per scoprire quanto l’Italia sia forte e riconosciuta nel settore dell’aftermarket a livello globale”.

Tre grandi anime convivono oggi all’interno di Autopromotec: officina, pneumatici, ricambi. In che modo la fiera riesce a rappresentare efficacemente tutte queste filiere così diverse, mantenendo al contempo un’identità forte e riconoscibile?

Uno degli aspetti più distintivi di Autopromotec è proprio la sua capacità di offrire una visione ampia e integrata del mondo aftermarket.

In alcuni mercati evoluti, le catene distributive sono molto verticali: c’è chi tratta solo pneumatici, chi solo prodotti per carrozzeria. Ma in tante altre nazioni, il distributore o l’importatore copre più ambiti, offrendo un mix più variegato di prodotti. È qui che Autopromotec fa la differenza.

La fiera nasce con una struttura “federale”: ogni settore ha il suo spazio – pneumatici, carrozzeria, diagnostica, meccanica – ma nulla vieta di esplorare altri settori. Grazie a percorsi guidati e a una mappa merceologica pensata per massimizzare l’esperienza del visitatore, ognuno può muoversi facilmente tra i padiglioni, scoprendo innovazioni e opportunità anche al di fuori del proprio segmento di riferimento. In poche parole: vieni a Bologna e trovi tutto ciò che ti serve. Un unico appuntamento, una visione completa. Ed è anche questo uno dei motivi per cui l’evento ha una così forte attrattiva a livello internazionale”. 

All’interno di questo scenario, quanto è importante puntare su un ambiente di lavoro inclusivo? Ci sono iniziative che Autopromotec ha messo in campo per promuovere la parità di genere?

Per noi, il tema dell’inclusione non è una questione di facciata, né un semplice dovere etico: è uno dei veri punti di forza della fiera. Lo dimostrano i numeri: 2/3 del nostro team è composto da donne e questo non solo riflette un cambiamento culturale, ma anche una scelta strategica basata sul valore delle competenze. Nel mondo dell’auto – come in tanti altri settori – serve talento, e il talento non ha genere. Poi, quasi la metà degli utenti di veicoli oggi sono donne: è naturale, quindi, che anche il dialogo con il cliente finale debba essere più rappresentativo e consapevole.

L’evoluzione tecnologica e l’automatizzazione stanno, inoltre, abbattendo molte delle barriere fisiche che un tempo limitavano l’accesso a determinati ruoli. Questo apre nuove possibilità, rendendo l’intero settore più accessibile a tutti. Crediamo che il cambiamento passi anche dalla cultura e dall’esempio. Per questo abbiamo scelto di sostenere l’associazione AWA (Automotive Women Association), promuovendo iniziative e incontri all’interno della manifestazione. Il futuro del lavoro – in fiera come nell’industria – sarà sempre più inclusivo, e noi vogliamo contribuire in modo attivo e concreto a costruirlo. Io sono molto ottimista”.

AWA lavora per cambiare la percezione del ruolo delle donne nell’automotive e nel motorsport, promuovendo inclusione e riconoscimento del talento femminile. Che opinione hai di questo impegno e che consiglio daresti a chi lavora per questa trasformazione?

Non mi sento nella posizione di dare consigli e c’è un motivo molto semplice: per quanto possa comprendere e sostenere l’importanza di una cultura dell’inclusione, non essendo una donna, so di dover continuare ad imparare. La mia esperienza è quella di un uomo e per questo non posso presumere di sapere cosa sia meglio per qualcun altro. Personalmente, preferisco parlare di competenze, non di genere. Credo nel valore delle persone, nelle loro capacità e nel loro impegno. L’unica cosa che mi sento di dire è di continuare a crederci e di non arrendersi mai, nemmeno davanti agli ostacoli più duri. Perché il cambiamento passa anche dalla determinazione di chi sceglie ogni giorno di non mollare”.