Come si diventa responsabile della comunicazione di un team di Formula 1? Intervista a Patrizia Spinelli

Dalla moda ai paddock: il percorso di Patrizia Spinelli tra comunicazione, marketing e Formula 1

Dalla Benetton di Schumacher alla Renault di Alonso, passando per Prost e sempre con Briatore: Patrizia Spinelli ha vissuto alcune delle pagine più iconiche della Formula 1. Con una straordinaria carriera nella comunicazione e nel marketing nel settore dei motori, oggi è Direttrice della Comunicazione di Majestas e consulente per Alpine Formula One Team.

Ma come si costruisce un percorso di successo in un mondo così competitivo come quello della Formula 1? Scopriamolo insieme in questa nuova intervista della rubrica #cambiodimarcia.

Intervista a cura di Luca Greco (SEO Copywriter di Synesthesia)

Patrizia, come è iniziata la tua storia in Formula 1?

È iniziata quasi per caso, perché la Formula 1 era lontanissima dai miei interessi. Non era una mia passione. Dal 1985 al 1991 mi occupavo di comunicazione prodotto per Benetton a New York, in un periodo straordinario per il brand, fatto di crescita. Erano gli anni delle campagne pubblicitarie di Oliviero Toscani. Sapevo che Benetton aveva un team di Formula 1, ma all’epoca non ci pensavo affatto. Del resto, la Formula 1 in America era quasi inesistente, con una sola gara a Phoenix, in Arizona e con poca popolarità.

Poi, per motivi personali, sono tornata in Europa, ed è lì che Luciano Benetton e Flavio Briatore mi hanno dato l’opportunità di occuparmi della comunicazione del team. Una scelta decisamente inusuale: non provenivo dal settore e all’epoca, la comunicazione in Formula 1 veniva affidata in genere a un uomo, con relazioni forti nel settore automobilistico, oppure a qualcuno con una passione sfrenata per i motori.

Quando Flavio mi fece la proposta, rimasi un po’ perplessa: non sapevo nulla di Formula 1. Ma mi rassicurò subito, dicendomi che voleva portare un approccio nuovo al marketing e alle relazioni con i media. E così è iniziato tutto”.

A questo proposito, nel 1989 Flavio Briatore arriva in Benetton, segnando una svolta nella storia del team. Che impatto ha avuto sul modo di fare comunicazione nel motorsport?

Fino ad allora, la comunicazione in Formula 1 era esclusivamente sportiva. C’era un circuito di giornalisti che seguiva ogni gara, mentre gli addetti stampa diffondevano comunicati tecnici su piloti e monoposto. Anche i piloti stessi erano dei “giganti”, e la comunicazione non era una priorità per loro. Gli sponsor avevano un ruolo marginale, che si limitava per lo più ad apporre il loro marchio sulla macchina o le tute dei piloti.

Flavio Briatore ebbe un’intuizione geniale. Il team si chiamava già Benetton, quindi perché non portare grossi sponsor esterni che generassero dei profitti importanti da reinvestire nel team per renderlo competitivo? E non potendo ingaggiare un pilota già campione, puntare e far crescere la squadra attorno a un pilota giovane ma di estremo talento (Michael Schumacher). Lato marketing, per attrarre aziende e marchi di alto livello e trasformare la Formula 1 in un prodotto più appetibile per il mercato, furono creati dei pacchetti di sponsorship attrattivi, completi e originali, che coinvolgevano i partner in operazioni sinergiche. Implementammo una nuova strategia anche nella comunicazione. 

L’obiettivo di Flavio era portare in Formula 1 una stampa diversa, che fino ad allora non si era mai interessata a questo mondo: magazine di lifestyle, moda, business. Era questo a rendere il circus attraente per gli sponsor. Ma non ci fermammo lì: portammo il fashion nei paddock, coinvolgendo top model come Eva Herzigova e molte altre nei box. Quando gli sponsor iniziarono a comparire su Vogue, Gente, Class Magazine e altre testate di prestigio, il valore dell’immagine del team – e di conseguenza dei partners – crebbe in modo esponenziale.

Anche i piloti vennero coinvolti in servizi fotografici, qualcosa di impensabile all’epoca ma oggi diventato la norma. Senza la comunicazione digitale di oggi, bisognava creare contenuti in modo diverso: così nacque il Benetton Formula Magazine, un magazine non sportivo ma di lifestyle pensato per valorizzare gli sponsor e dare loro una visibilità strategica. Il nostro obiettivo è stato sviluppare l’aspetto di intrattenimento e ‘glamour’ della Formula 1 e di costruire un ecosistema in cui i partner fossero parte attiva della comunicazione.

All’epoca eravamo i “bad boys” della Formula 1, un po’ come poi lo diventò Red Bull. Flavio è riuscito ad attirare sponsor importanti con budget contenuti, offrendo loro qualcosa di unico: un posizionamento innovativo e un coinvolgimento completo e autentico.

Questo approccio ha funzionato e oggi anche gli altri team adottano le stesse strategie. La F1 è cambiata molto, riuscendo ad attirare i giovani e un pubblico vario e vasto, e non necessariamente patito dei motori“.

Nel 1992 si ritirò Piquet e la Benetton confermò il talentuoso Schumacher, promosso a prima guida nonostante la giovane età. Ti andrebbe di raccontarci com’è andata?

Non andò esattamente così. Nel 1991 in squadra c’erano Roberto Moreno e Nelson Piquet, ma durante il Gran Premio di Spa, Briatore notò subito il talento straordinario di Michael Schumacher, che in quell’occasione correva per la Jordan al posto di Bertrand Gachot. Flavio capì immediatamente che era un fenomeno e, con una scelta allora considerata ‘ardita’, decise di sostituire Moreno con Michael. Ancora una volta, la sua capacità di visione e la tempestività si rivelarono vincenti. Anni dopo si presentò un caso simile con Jenson Button: Flavio sapeva di non poter aspettare e volle sostituirlo con Fernando Alonso. La stampa inglese gridò allo scandalo e non gliel’ha perdonata, ma la storia ha dimostrato ancora una volta che aveva ragione”.

Hai lavorato con alcuni dei piloti che hanno segnato la storia della F1, come Schumacher, Alonso, Alesi, Berger,Trulli e Fisichella. Come si gestisce la comunicazione e l’immagine di sportivi di questo calibro? 

Tutti i piloti di F1 sono persone eccezionali e con doti fuori dal comune,  preparatissime, ma a parte il talento, ci sono altre cose che fanno la  differenza tra un buon pilota e un campione, per esempio l’autocontrollo, la gestione della gara, il modo di porsi e imporsi all’interno della squadra”.

Cosa hai imparato dagli anni trascorsi nel paddock? Quali insegnamenti ti ha lasciato l’esperienza in un ambiente così competitivo e sotto pressione?

È stata una grande scuola di vita. In Formula 1, niente segue un percorso lineare: ogni 15 giorni succedeva qualcosa, nel bene e nel male. Gli imprevisti erano all’ordine del giorno e dovevi trovare soluzioni rapide. Questa esperienza mi ha insegnato a gestire la pressione, a essere sempre pronta al cambiamento e a confrontarmi con culture e situazioni sempre diverse”.

Come vedi oggi la presenza femminile in F1?

Negli anni sono stati fatti grandi progressi in questo senso. Qui in Alpine F1 ci sono tante ragazze ma non solo in marketing e comunicazione: nel design office, tra gli ingegneri e persino nel race team, in tutto rappresentano il 30% della forza lavoro”.

Che consiglio daresti alle giovani donne che vogliono intraprendere il tuo stesso percorso nel mondo della Formula 1?

Prima di tutto, le lingue: è fondamentale padroneggiare almeno due o tre lingue. Poi, bisogna chiedersi cosa attrae davvero di questo mondo, perché spesso l’aspetto glamour può farti perdere l’obiettività. Il marketing e la comunicazione in Formula 1 richiedono impegno, determinazione e una grande resistenza.

Oggi ci sono 24 gare all’anno, il che significa essere costantemente in viaggio, pronti a tutto. È un ambiente duro, spesso anche fisicamente impegnativo. Anche chi lavora nell’Hospitality, per esempio, deve occuparsi dell’allestimento e della gestione logistica. Un weekend di gara è solo la punta dell’iceberg: dietro c’è un enorme lavoro di ufficio, organizzazione e sacrificio che è costante durante tutto l’anno.

La vita privata ne risente, perché si viaggia molto e anche se le tappe dei Gran Premi sono in luoghi molto belli, è difficile ritagliarsi dei momenti per visitarli e conoscerli davvero.  La Formula 1 non è solo adrenalina e spettacolo, è un mondo che chiede tanto impegno e professionalità”.

Credi che iniziative come quella di AWA possano aiutare a creare più opportunità per le donne nel motorsport e nell’automotive?

È fondamentale mostrare che esistono spazi per le donne in questo settore, evidenziando modelli concreti, storie di successo e opportunità già colte. È importante mantenere sempre un atteggiamento positivo, trasformando la diversità in punti di forza.

A questo proposito, Alpine Formula 1 Team sta sviluppando tante iniziative in questa direzione. Recentemente abbiamo ospitato Maria Leitner, che ha realizzato un servizio sulle donne in Formula 1, intervistando tre professioniste in ruoli chiave: una nel controllo qualità, una nella ricerca e sviluppo e un’altra nell’ingegneria di pista.


Oltre a queste testimonianze, Alpine ha istituito il “Women in Motorsport Group”, un team composto principalmente da ingegneri donne, con l’obiettivo di promuovere l’inclusione femminile a Enstone. Tra le azioni concrete messe in campo:

  • il networking e il mentoring per le donne in azienda,
  • la visibilità ai profili femminili nel settore,
  • il supporto ai progetti STEM nelle scuole,
  • la celebrazione di eventi chiave come l’International Women in Engineering Day (INWED).

Un altro pilastro della strategia di Alpine è la Alpine Academy, che continua a sostenere giovani pilote nel loro percorso, come Abbi Pulling, campionessa F1 Academy 2024, e Nina Gademan, pilota della stagione 2025. Inoltre, il team ha lanciato un programma di mentoring per ragazze in collaborazione con Girls on Track (Motorsport UK), offrendo supporto e orientamento a studentesse delle scuole secondarie interessate a intraprendere una carriera nel motorsport e nelle materie STEM.

Queste iniziative dimostrano che il motorsport si sta evolvendo, aprendo le porte a nuovi talenti. Con il giusto supporto e visibilità, sempre più donne potranno trovare spazio e realizzare il loro sogno”.