Come si diventa una leader nel mondo del Motorsport? Intervista a Marta Gasparin

Rompere le barriere: il suo percorso per diventare leader nel Motorsport

Nella nuova puntata della rubrica #cambiodimarcia, abbiamo avuto il privilegio di incontrare Marta Gasparin, Head of Pirelli Motorsport Commercial Operations. Nel corso dell’intervista curata da Anna Mangione, Marta ci ha raccontato del suo affascinante percorso nel motorsport, della sua passione per le corse e di come è riuscita a farsi strada in un mondo competitivo e tradizionalmente dominato dagli uomini. Con determinazione e un forte spirito di squadra, Marta ha saputo lasciare il segno, raggiungendo traguardi significativi sia sul piano professionale che personale. In questa intervista, condividiamo le sue esperienze, i suoi consigli e la sua visione del futuro, tra sfide, successi e inclusione.

Marta, come ti descrivi?

Sono una persona molto determinata, mi è molto chiaro quello che voglio e lo perseguo, ovviamente nel rispetto di tutto e di tutti. Sono ottimista, anche nei momenti in cui le cose si fanno difficili io cerco sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno. Poi sono molto empatica. Mi piace entrare in sintonia con le persone con cui lavoro, saperle motivate, contente ed essere in sintonia con loro”.

Ci racconti brevemente il tuo percorso nel mondo del motorsport?

Il motorsport ha sempre fatto parte della mia carriera e del mio percorso professionale. Ho iniziato 20 anni fa, spinta da una passione innata per le auto e le corse, trasformando quel sogno in realtà con determinazione e un pizzico di fortuna. È stato un lavoro che ho fortemente voluto. 

Sono entrata in Porsche Italia nel 2005 con un piccolo incarico, poi sono rimasta per più di dieci anni, ho assistito alla nascita della Carrera Cup Italia nel 2007 e sono stata responsabile delle attività motorsport del marchio fino al 2016, quando mi ha chiamato Pirelli per propormi questo ruolo molto interessante. Inizialmente come responsabile marketing di tutte le attività motorsport di Pirelli (220 campionati e F1) poi a maggio 2024 la mia responsabilità si è espansa anche nella parte commerciale”.

Anche sul campo segui tutte le attività in prima persona?

Ho iniziato a delegare per trovare un migliore equilibrio. Nel primo anno ho trascorso 180 giorni in trasferta, ma col tempo ho avuto l’opportunità di costruire un team e affidare loro più responsabilità. Questo mi ha permesso non solo di alleggerire la mia agenda, ma anche di far crescere nuove leve, entusiaste e piene di energia, pronte a portare il loro contributo“.

Quanto è stato difficile, in questi 20 anni, affermarsi come donna nel tuo ruolo fin dall’inizio della tua carriera?

Quando ho iniziato, il contesto era molto diverso da oggi, e in questi anni sono stati fatti passi da gigante. Per me, però, non è stato semplice. Non solo perché ero una donna, ma anche perché ero molto giovane, non avevo un cognome di spicco e sono alta appena 1,56 metri. Mi trovavo spesso a interfacciarmi con uomini più grandi di me, con 15-20 anni di esperienza in più. All’epoca i ruoli delle donne erano spesso relegate ad attività molto verticali, all’interno delle hospitality o degli uffici stampa, o, peggio, a ruoli puramente
decorativi
”.

Quindi, hai dovuto sgomitare parecchio per farti strada?

Nonostante il contesto generale non fosse favorevole, devo dire che all’interno, con i partner con cui ho lavorato, non ho mai percepito discriminazioni o trattamenti diversi. Ho sempre avuto le stesse opportunità dei miei colleghi uomini. La vera differenza è stata tra il dovermi affermare in un’industria severa all’esterno e l’energia positiva che invece ho sempre trovato all’interno del mio ambiente lavorativo”.

C’è qualche aneddoto che vuoi condividere con noi?

Le prime volte che partecipavo alle commissioni ACI per discutere il regolamento sportivo e tecnico, mi trovavo circondata dai rappresentanti delle grandi aziende. Ero una ragazzina che cercava, sempre con educazione, di far valere le proprie ragioni, mentre tutti mi guardavano come una sorta di “panda”. Oggi incontro ancora alcune di quelle persone con cui ho collaborato agli inizi, e quando ripenso a quei momenti, sorrido e mi do una pacca sulla spalla”.

Se ti dovessi chiedere il momento più emozionante?

In 20 anni ci sono stati tanti momenti significativi, ma uno dei più gratificanti è stato nel 2014. In quell’anno, con il mio team in Porsche, abbiamo sviluppato un programma di supporto per giovani under 26 che partecipavano al nostro campionato, con l’obiettivo di prepararli a diventare piloti ufficiali della factory.

Avevamo a che fare con ragazzi talentuosi al volante, ma spesso impreparati a gestire la propria immagine come atleti e figure pubbliche. Una parte fondamentale del progetto è stata il mental coaching: un tema per cui ho dovuto lottare molto, discutendo anche con i genitori dei giovani, per far comprendere quanto fosse cruciale la forza mentale, soprattutto a 17-18 anni.

Questo programma è stato un grande successo, tanto da proseguire anche dopo la mia partenza. Oggi, vedere quei ragazzi indossare le tute di Porsche, Ferrari o Lamborghini e sapere di aver contribuito al loro percorso mi fa un sacco piacere. Porsche è stata pioniera nell’attenzione alla crescita completa del pilota, e sono orgogliosa di averne fatto parte”.

Tornando a Pirelli, ora hai un team con collaboratrici. Inclusione e valorizzazione del talento sono temi molto sentiti in azienda, giusto?

Assolutamente sì. Pirelli è un’azienda profondamente meritocratica, dove il talento viene valorizzato indipendentemente dal genere. Il 25% dei dipendenti attivi nel reparto Motorsport è composto da donne, e il 57% di loro ricopre ruoli apicali. Questo è il risultato naturale di una cultura che punta all’eccellenza in ogni livello. Certo, l’azienda promuove iniziative concrete, come borse di studio per incentivare la presenza femminile nelle discipline STEM e politiche a supporto della maternità. Tuttavia, ciò che fa davvero la differenza è la cultura del merito che si respira ogni giorno.

Anche in settori tradizionalmente maschili, come quello tecnico, la presenza femminile è significativa. Per esempio, l’ingegnere capo delle mescole e il responsabile della logistica F1 sono donne. Pirelli dimostra con i fatti che certi ruoli non hanno genere. È grazie a questi esempi che le giovani generazioni possono credere che tutto sia possibile”.

Quali consigli daresti a una ragazza che vuole intraprendere un’attività, magari anche in un settore più tecnico?

Ho due consigli principali. Innanzitutto, non farti mai abbattere da chi dice che non è il tuo contesto o che “quel mondo non fa per te”. Segui la tua strada con determinazione. Poi, lavorare molto sulla propria reputazione. Questo vale per tutti, indipendentemente dal genere. Questo è un mondo piccolo. Nella tua carriera potresti cambiare divisa e persone che oggi sono avversari, domani potrebbero essere tuoi colleghi. Comportarsi sempre in modo corretto e rispettoso paga, sotto ogni punto di vista.

Alle ragazze che vengono a fare colloqui, dico sempre che questo lavoro richiede una grande passione, perché ti chiede molto in termini di tempo e sacrifici, soprattutto sulla vita personale. Per esempio, in F1 sei fuori casa più di 200 giorni all’anno: non è facile mantenere gli affetti e le relazioni familiari. Per riuscirci, oltre alla passione, è fondamentale avere il supporto delle persone che ti sono vicine”.

Parlando di campionati come F1 Academy, cosa ne pensi di queste iniziative?

Seguo con molto interesse l’evoluzione di diversi programmi che vanno in questa direzione. Per quanto riguarda la F1 Academy, credo sia importante fare una distinzione tra l’aspetto commerciale e quello sportivo. Da un punto di vista commerciale, ha avuto un grande merito, poiché ha avvicinato molte aziende che prima non erano entrate in questo mondo. Tuttavia, se guardo al lato puramente sportivo, penso che dovremo aspettare qualche anno per vedere se alcune di queste ragazze avranno l’opportunità di competere ad armi pari con i loro colleghi, e solo allora avremo una vera misura del valore di questo campionato. Mi viene in mente una frase di Michelle Gatting, una delle Iron Dames: “Il rispetto si guadagna in pista con i risultati”. È una sentenza dura, ma è la realtà. Due stagioni sono troppo poche per trarre conclusioni definitive; se questa è la strada giusta, lo vedremo quando le ragazze si confronteranno direttamente con i ragazzi.

Cosa pensi delle iniziative, come il corso da collaudatrici proposto da Awa, dedicate esclusivamente alle donne?

Pirelli ha già avuto donne collaudatrici, quindi non ci sono barriere all’ingresso per questi ruoli. Penso che la nostra responsabilità all’interno dell’industria dei motori sia quella di fornire un esempio di chi ha avuto la possibilità di sviluppare il proprio percorso professionale, ma anche di chi ha scelto attivamente questa strada, come è successo a me.

È nostro compito e nostra responsabilità diffondere questo messaggio alle ragazze che si avvicinano a questo mondo, perché devono credere di potercela fare anche loro”.